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Amflora La patata Transgenica

Amflora, la patata transgenica (FONTE: Bodegones/LASTAMPA.IT 03.03.2010)
Le patate naturali contengono amido, costituito da amilopectina e amilosio. Amflora è la patata transgenica sviluppata dalla BASF che contiene solo amilopectina. S è creato questa patata perché l’amilopectina viene utilizzata nella produzione di carta, collanti e separarla dall’amilosio è costoso. L’Amflora quindi non la troveremo nei nostri piatti (pare sia immangiabilie) ma verrà utilizzata per uso industriale e – ed è qui che inizia la controversia- come mangime per gli animali (così chiariamo anche subito che il fine per cui si creano gli OGM non è quello di salvare il mondo dalla fame…)
Il problema dell’Amflora sta nel fatto che per effettuare questa trasformazione delle patate si utilizza un marcatore (un gene che viene legato al gene che inattiva la produzione di amilosio, per renderlo riconoscibile), l’nptII, che conferisce resistenza alla kanamicina e alla neomicina, due antibiotici. Il pericolo è che il gene – essendo la patata utilizzata come mangime animale – passi ai batteri che stanno nell’apparato digerente e che questi sviluppino a loro volta la resistenza. Non abbiamo forse iniziato a sospettare con le emergenze BSE, SARS, H5N1, H1N1 che gli allevamenti intensivi sono incubatori di virus?
La resistenza gli antibiotici è una preoccupazione reale, tanto che nel 2001 è stata adottata una legge a livello europeo per eliminare entro il 2004 quegli elementi responsabili della resistenza che possono comportare rischi per la salute e l’ambiente. La kanamicina, in particolare, viene impiegata come farmaco di seconda linea nel trattamento delle infezioni da tubercolosi multi-farmacoresistente, di cui si registra a livello mondiale un numero crescente di casi.
La BASF ha fatto richiesta di autorizzazione alla commercializzazione dell’Amflora nel 2005. In questi anni avrebbe potuto sostituire il gene marcatore incriminato -si stanno sviluppando tecniche che non richiedono l’uso di marcatori resistenti agli antibiotici – ma sarebbe stato probabilmente troppo costoso.
La decisione dell’EFSA è conseguenza del parere scientifico espresso a giugno dello scorso anno dalle due unità, all’interno dell’EFSA, che si occupano di organismi geneticamente modificati (il GMO e il BIOHAZ) che hanno giudicato improbabile, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, che il trasferimento dei geni di resistenza agli antibiotici, associato all’uso di piante GM, produca effetti avversi sulla salute umana e sull’ambiente; hanno inoltre valutato che l’nptII non è implicato nella resistenza alla kanamicina nel trattamento della tubercolosi multi-farmacoresistente. Quanto è credibile questo parere?
Il gruppo GMO dell’EFSA più volte ha giudicato inconsistenti le conclusioni di lavori pubblicati, passati al vaglio della peer-review, critici nei confronti della sicurezza degli OGM. L’ultimo episodio risale a gennaio scorso quando sono state rigettate le conclusioni di una ricerca riguardante la tossicità delle varietà di mais GM MON810, MON863 e NK603 della Monsanto.
Il problema della ricerca indipendente sugli OGM è centrale. Alcuni scienziati americani si sono rivolti alla Environmental Protection Agency lamentando il fatto che le aziende biotech non permettono di condurre ricerche realmente indipendenti su molte questioni critiche. Il problema è che gli acquirenti di semi geneticamente modificati devono firmare un accordo inteso a garantire il rispetto dei diritti di brevetto dell’azienda. Questo accordo vieta la coltivazione degli OGM a scopo di ricerca, per fare la quale è necessaria un’autorizzazione specifica che le aziende concedono riservandosi però il diritto di approvare le conclusioni dello studio al momento della pubblicazione. E’ anche per questo che il gruppo GMO dell’EFSA può tranquillamente riportare nei suoi pareri che non ci sono nuove prove scientifiche, in termini di rischio per la salute umana e animale e per l’ambiente, che possano giustificare un divieto di coltivazione di piante geneticamente modificate.

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